Marca il sette e fallo andare esterno

Durante l’adolescenza giocavo terzino. Mio zio era solito dirmi
marca il 7 e fallo andare esterno, col piede sinistro lo sai

non sa fare niente.

Nel corso delle mie cento vite, più volte
ho raccolto questa voce monopolmonare
e conoscevo a memoria tutti quei campi
che mai avrei più visto, terra e feci, fango e zanzare
la forzata convivenza con la puzza di cazzo esplosiva
di uno spogliatoio, al contrario, così materno e uterino.
Ogni tanto mi sento così debole che vorrei aver tenuto fede
a quei comandamenti di vita spartana e alle parole dello zio
a quel grido unico dalla montagna di metallo al bordo del campo
marca il 7 e fallo andare esterno, col piede sinistro lo sai

non sa fare niente.

Quando è collassato il suo unico polmone funzionante
ho aspettato ventiquattrore prima di andare all’obitorio
le vene pulsavano senza continuità di spazio e qualcosa,
qualcosa di cui non potei fare a meno mi spinse a correre
per raggiungere la montagna di metallo a cercare quelle linee

infernali e anoressiche

tossiche merdose bulimiche linee, sopra le quali ho corso
chilometri di affanni, chilometri di futuro, a vagonate
di cui ho aspirato tutto il possibile
o come avrei fatto a definirmi almeno in un corpo,
almeno in un pugno di terra brecciata.
Un obiettivo ho perseguito nella mia vita con cieca costanza
e ora che le sue urla sono sottoterra le riscrivo nella mia mente,
le scompongo ed è come se dicessi ciao, adios zio.

Il giorno in cui sono tornato a lavorare, dopo il funerale,
Elisa mi ha chiamato al telefono per tirarmi su
sei solo un ragazzo mi ha detto col suo tono di destestabile bonomia
non c’è bisogno che ti dica quello che devi fare, le gambe ce l’hai ancora no?
Marca il 7 e fallo andare esterno, col piede sinistro lo sai

non sa fare niente.

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